Agosto ci lascia portando con se un bagaglio di vacanze appena accennate per alcuni, vissute pienamente per altri, feste ed eventi, polemiche relative, giorni caldi e assolati, qualche acquazzone scrosciante. Momenti di vivo interesse per i pezzi che ho postato su “scribacchiando”: alcuni scritti di recente, altri un po’ datati. La fine di agosto coincide con la fine di un ciclo, quello primaverile/estivo; e ritengo che si imponga un momento di analisi e riflessione.
L’onda lunga dei pezzi riproposti si fa sentire con apprezzamenti, specie per quelli che riguardano la “memoria collettiva”, il portato della civiltà di un popolo,quello pietramelarese che tiene molto ad esso; ciò che, invece, ho scritto in relazione all’attualità, ai fatti e ai personaggi della Pietramelara che viviamo, giorno per giorno, ha destato un interesse ancora più forte con picchi di accesso al blog, molto intensi, anche se limitati alla settimana, o addirittura al giorno ma… non potrebbe essere che così, quando si spegne un fatto, anche tutte le eco che ha destato si spengono: a stretto giro!
La potenza di un mezzo di comunicazione quale è la “rete” si fa sentire prepotente, e te ne accorgi quando gli accessi provengono da posti impensabili e in cui, forse, non andrai mai per il resto della tua vita: Svezia, Libano, Israele, Singapore non sono neppure mete frequenti per italiani in giro per turismo o per lavoro. Ed anche dai paesi in cui la presenza italiana è sempre stata forte giunge l’eco di un interesse costante e sempre vivo per Pietramelara, la sua gente,il suo modo di comunicare, i problemi, i luoghi, gli usi e le tradizioni.
Scribacchiando a poco più di quattro anni dalla sua nascita naviga spedito verso i sessantamila accessi e sono molto lusingato per questo; auspicherei che i miei “quattro lettori” segnalino, come credono e come possono, le proprie aree di interesse e ciò che vorrebbero leggere, tenendo sempre presente che questo è il “blog di un pietramelarese”, scritto per i pietramelaresi (ovunque si trovino), infarcito delle mie opinioni e delle mie convinzioni. Chi non le condivide può liberamente astenersi dal leggere queste pagine!
Scribacchiando per me
sabato 29 agosto 2015
domenica 16 agosto 2015
PIETRAMELARA E IL SUO SANTO
E’ indubbio: fa piacere rivedere la piazza ancora piena come un uovo la sera, e l’occasione della festa patronale dedicata a San Rocco non se la lascia sfuggire proprio nessuno! … e anche chi è impossibilitato per lontananza geografica, per infermità o altro nutre un forte desiderio di parteciparvi.
Tutte le antiche fonti scritte concordano sul fatto che Rocco sia nato da una famiglia agiata di Montpellier, in Francia, anche se per la verità mancano adeguati riscontri documentari; resta il fatto, comunque, che questo dato, ormai tradizionale, non è mai stato messo in discussione, né sono state avanzate proposte o 'rivendicazioni' alternative. Anche della sua famiglia si conosce ben poco, ed i tentativi di individuarla non hanno dato alcun frutto. Per alcuni studiosi, peraltro, Roch non sarebbe il nome, bensì il cognome; tuttavia, la tesi più fortunata - ancor oggi - è quella che chiama in causa la famiglia Delacroix, ma anche in questo caso non esiste alcuna prova certa.
La tradizione pietramelarese fa risalire il culto alla fine del XV secolo, in occasione della discesa di Carlo VIII di Francia in Italia per la conquista del Regno di Napoli, al seguito del sovrano francese vi era un Capitano dei Cavalli, un tale Vasè de la Roche, che accampato a Pietramelara propose o impose il culto di suo cugino Roche de la Croix come patrono, il quale era stato santificato nel 1400 dal Conclave di Venezia, per aver liberato la città dalla peste. Fu lo stesso Vasè de la Roche che, probabilmente, impose anche la dicitura del suddetto rione. Con la venuta degli Aragonesi, in seguito alla battaglia di Fornovo del 5 luglio 1495, il culto di San Rocco veniva proibito in quanto francese, e venne invece istituito quello di San Liberato Martire, la cui immagine è conservata nella Chiesa di San Pasquale. Il ripristino dell'adorazione di San Rocco avvenne nel 1570, con la concessione del riscatto feudale da parte di Don Andrea De Capua. Da quì la tradizione di portare, da parte delle autorità cittadine, i ceri alla figura del Santo il 16 agosto giorno della sua festa. Il miracolo per cui San Rocco venne ufficialmente proclamato Patrono di Pietramelara, avvenne durante la seconda occupazione del Regno di Napoli nel 1806 con Giuseppe Bonaparte. L'esercito napoleonico, alla volta di Napoli, scelse di accamparsi a Pietramelara ma fu fermato da un giovane dall'aspetto gracile e gentile, che dissuase il comandante Championnet dal raggiungere il paese e proseguire direttamente per Napoli. Quando costui dovette ritornare a Pietramelara per la riscossione della taglia di guerra, riconobbe nel volto della statua di San Rocco i lineamenti di quel giovane incontrato in precedenza.
Negli ultimi anni dell’ottocento in giugno il Santo, inoltre, avrebbe risparmiato il paese da una gravissima grandinata in grado di distruggere i raccolti e ridurre il popolo alla fame. Molti testimoni in tale occasione avrebbero visto il suo volto trasfigurarsi, sudare e battere le palpebre. Ogni anno, in occasione della ricorrenza il 14 giugno, il popolo ricorda l'episodio con una processione silenziosa e raccolta.
Molto forte il culto di san Rocco a Pietramelara lo è ancora: la popolazione ha fatto dell’attuale ricorrenza un appuntamento a cui non mancare; anche nel linguaggio comune del popolo si osserva ancora la forza della devozione: “foss’ San Roccu” (lo volesse San Rocco, ndr) è un’espressione ricorrente in chi si augura che qualche propria aspirazione si concretizzi, così come, al contrario, il povero San Rocco qui è forse ancora il più bestemmiato, abitudine riprovevole. Le funzioni liturgiche e le processioni sono fortemente frequentate e anche la messa solenne con il “panegirico” al Santo, preceduta dall’offerta dei ceri, costituisce uno dei momenti fondamentali che identificano la nostra comunità, a dire il vero, attualmente un po’ dispersa e priva di comune sentire.
Tutte le antiche fonti scritte concordano sul fatto che Rocco sia nato da una famiglia agiata di Montpellier, in Francia, anche se per la verità mancano adeguati riscontri documentari; resta il fatto, comunque, che questo dato, ormai tradizionale, non è mai stato messo in discussione, né sono state avanzate proposte o 'rivendicazioni' alternative. Anche della sua famiglia si conosce ben poco, ed i tentativi di individuarla non hanno dato alcun frutto. Per alcuni studiosi, peraltro, Roch non sarebbe il nome, bensì il cognome; tuttavia, la tesi più fortunata - ancor oggi - è quella che chiama in causa la famiglia Delacroix, ma anche in questo caso non esiste alcuna prova certa.
La tradizione pietramelarese fa risalire il culto alla fine del XV secolo, in occasione della discesa di Carlo VIII di Francia in Italia per la conquista del Regno di Napoli, al seguito del sovrano francese vi era un Capitano dei Cavalli, un tale Vasè de la Roche, che accampato a Pietramelara propose o impose il culto di suo cugino Roche de la Croix come patrono, il quale era stato santificato nel 1400 dal Conclave di Venezia, per aver liberato la città dalla peste. Fu lo stesso Vasè de la Roche che, probabilmente, impose anche la dicitura del suddetto rione. Con la venuta degli Aragonesi, in seguito alla battaglia di Fornovo del 5 luglio 1495, il culto di San Rocco veniva proibito in quanto francese, e venne invece istituito quello di San Liberato Martire, la cui immagine è conservata nella Chiesa di San Pasquale. Il ripristino dell'adorazione di San Rocco avvenne nel 1570, con la concessione del riscatto feudale da parte di Don Andrea De Capua. Da quì la tradizione di portare, da parte delle autorità cittadine, i ceri alla figura del Santo il 16 agosto giorno della sua festa. Il miracolo per cui San Rocco venne ufficialmente proclamato Patrono di Pietramelara, avvenne durante la seconda occupazione del Regno di Napoli nel 1806 con Giuseppe Bonaparte. L'esercito napoleonico, alla volta di Napoli, scelse di accamparsi a Pietramelara ma fu fermato da un giovane dall'aspetto gracile e gentile, che dissuase il comandante Championnet dal raggiungere il paese e proseguire direttamente per Napoli. Quando costui dovette ritornare a Pietramelara per la riscossione della taglia di guerra, riconobbe nel volto della statua di San Rocco i lineamenti di quel giovane incontrato in precedenza.
Negli ultimi anni dell’ottocento in giugno il Santo, inoltre, avrebbe risparmiato il paese da una gravissima grandinata in grado di distruggere i raccolti e ridurre il popolo alla fame. Molti testimoni in tale occasione avrebbero visto il suo volto trasfigurarsi, sudare e battere le palpebre. Ogni anno, in occasione della ricorrenza il 14 giugno, il popolo ricorda l'episodio con una processione silenziosa e raccolta.
Molto forte il culto di san Rocco a Pietramelara lo è ancora: la popolazione ha fatto dell’attuale ricorrenza un appuntamento a cui non mancare; anche nel linguaggio comune del popolo si osserva ancora la forza della devozione: “foss’ San Roccu” (lo volesse San Rocco, ndr) è un’espressione ricorrente in chi si augura che qualche propria aspirazione si concretizzi, così come, al contrario, il povero San Rocco qui è forse ancora il più bestemmiato, abitudine riprovevole. Le funzioni liturgiche e le processioni sono fortemente frequentate e anche la messa solenne con il “panegirico” al Santo, preceduta dall’offerta dei ceri, costituisce uno dei momenti fondamentali che identificano la nostra comunità, a dire il vero, attualmente un po’ dispersa e priva di comune sentire.
sabato 8 agosto 2015
LE BOTTIGLIE
Certo che è rimasto chi continua a farle! … e, come in tutte le tradizioni, in esse vanno ricercate motivazioni sociali ed economiche.
Fare la provvista di sugo di pomodoro, o per dirla alla pietramelarese, “fà ‘e buttiglie”, è una pratica sicuramente plurisecolare, dovuta alla necessità di poter contare su una consistente e continuativa disponibilità (per un anno intero in famiglia) della base per il condimento principale del nostro alimento base: la pasta.
Il pomodoro è un frutto che trae origine dalla zona dell'America centrale, compresa oggi tra i paesi del Messico e Perù. Gli Aztechi lo chiamarono "xitomatl". Alcuni affermarono che il pomodoro aveva proprietà afrodisiache, sarebbe questo il motivo per cui i francesi anticamente lo definivano "pomme d'amour", pomo d'amore. Questa radice è presente anche in Italia: in certi paesi dell'interno della Sicilia, è indicato anche con il nome di pùma-d'amùri (pomo dell'amore).
La data del suo arrivo in Europa è il 1540 quando lo spagnolo Hernán Cortés rientrò in patria e ne portò gli esemplari; ma la sua coltivazione e diffusione attese fino alla seconda metà del XVII secolo. Arrivò in Italia nel 1596 ma solo più tardi, trovando condizioni climatiche favorevoli nel sud del paese, si ha il viraggio del suo colore dall'originario e caratteristico colore oro, che diede appunto il nome alla pianta, all'attuale rosso, grazie a selezioni e innesti successivi.
Certo che oggi, rispetto a qualche decennio fa, il numero di famiglie in cui ancora la tradizione di “fà ‘e buttiglie” viene perpetuata è in drastico calo: la disponibilità di pomodoro fresco durante l’intero anno e l’accettabile rapporto prezzo/qualità dei sughi presenti sugli scaffali dei supermercati, hanno in qualche modo indotto il progressivo abbandono di tale tradizione.
Bisogna inoltre considerare che chi continua a “fà ‘e buttiglie” con l’obiettivo di consumare un alimento autoprodotto e pertanto sano, non deve ignorare che i pomodori del commercio provengono da aziende che non disdegnano pratiche agronomiche quali l’ormonizzazione per favorire la raccolta contemporanea di tutti i frutti presenti sulla pianta. Prima non era così: quando i pomodori venivano coltivati in famiglia essi venivano raccolti man mano che maturavano, in piccoli quantitativi, con il vantaggio di un frutto raccolto al punto in cui era ricchissimo in zuccheri e in altri preziosi apporti (vitamine, sali minerali e antiossidanti). Quelli di oggi sono solo rossi … ma non per questo maturi!
La “tecnologia” impiegata prevede varianti nel metodo di cottura: si va dal più diffuso “bagno maria”, alle bottiglie infornate, pratica ormai del tutto desueta, alla bottiglie “sott’ a cuperta”, metodo efficace ma alquanto pericoloso; le scuole di pensiero diverse rispetto a tale aspetto hanno dato luogo a interminabili dispute fra massaie.
La tradizione di fare le bottiglie, tuttavia racchiude un portato che sa di vicinato, di rapporti familiari e quando ci si riunisce per dare una mano essa viene ricambiata, a stretto giro, dopo qualche giorno; qualcuno che vive fuori cerca ancora di abbinare il rientro estivo per le ferie in paese, alla possibilità di recare con se le bottiglie appena fatte, perché quel sapore anche in luoghi lontani ricorda l’infanzia ed evoca affetti e rapporti troncati dalla necessità quotidiana.
Fare la provvista di sugo di pomodoro, o per dirla alla pietramelarese, “fà ‘e buttiglie”, è una pratica sicuramente plurisecolare, dovuta alla necessità di poter contare su una consistente e continuativa disponibilità (per un anno intero in famiglia) della base per il condimento principale del nostro alimento base: la pasta.
Il pomodoro è un frutto che trae origine dalla zona dell'America centrale, compresa oggi tra i paesi del Messico e Perù. Gli Aztechi lo chiamarono "xitomatl". Alcuni affermarono che il pomodoro aveva proprietà afrodisiache, sarebbe questo il motivo per cui i francesi anticamente lo definivano "pomme d'amour", pomo d'amore. Questa radice è presente anche in Italia: in certi paesi dell'interno della Sicilia, è indicato anche con il nome di pùma-d'amùri (pomo dell'amore).
La data del suo arrivo in Europa è il 1540 quando lo spagnolo Hernán Cortés rientrò in patria e ne portò gli esemplari; ma la sua coltivazione e diffusione attese fino alla seconda metà del XVII secolo. Arrivò in Italia nel 1596 ma solo più tardi, trovando condizioni climatiche favorevoli nel sud del paese, si ha il viraggio del suo colore dall'originario e caratteristico colore oro, che diede appunto il nome alla pianta, all'attuale rosso, grazie a selezioni e innesti successivi.
Certo che oggi, rispetto a qualche decennio fa, il numero di famiglie in cui ancora la tradizione di “fà ‘e buttiglie” viene perpetuata è in drastico calo: la disponibilità di pomodoro fresco durante l’intero anno e l’accettabile rapporto prezzo/qualità dei sughi presenti sugli scaffali dei supermercati, hanno in qualche modo indotto il progressivo abbandono di tale tradizione.
Bisogna inoltre considerare che chi continua a “fà ‘e buttiglie” con l’obiettivo di consumare un alimento autoprodotto e pertanto sano, non deve ignorare che i pomodori del commercio provengono da aziende che non disdegnano pratiche agronomiche quali l’ormonizzazione per favorire la raccolta contemporanea di tutti i frutti presenti sulla pianta. Prima non era così: quando i pomodori venivano coltivati in famiglia essi venivano raccolti man mano che maturavano, in piccoli quantitativi, con il vantaggio di un frutto raccolto al punto in cui era ricchissimo in zuccheri e in altri preziosi apporti (vitamine, sali minerali e antiossidanti). Quelli di oggi sono solo rossi … ma non per questo maturi!
La “tecnologia” impiegata prevede varianti nel metodo di cottura: si va dal più diffuso “bagno maria”, alle bottiglie infornate, pratica ormai del tutto desueta, alla bottiglie “sott’ a cuperta”, metodo efficace ma alquanto pericoloso; le scuole di pensiero diverse rispetto a tale aspetto hanno dato luogo a interminabili dispute fra massaie.
La tradizione di fare le bottiglie, tuttavia racchiude un portato che sa di vicinato, di rapporti familiari e quando ci si riunisce per dare una mano essa viene ricambiata, a stretto giro, dopo qualche giorno; qualcuno che vive fuori cerca ancora di abbinare il rientro estivo per le ferie in paese, alla possibilità di recare con se le bottiglie appena fatte, perché quel sapore anche in luoghi lontani ricorda l’infanzia ed evoca affetti e rapporti troncati dalla necessità quotidiana.
Iscriviti a:
Post (Atom)