Scribacchiando per me
sabato 27 aprile 2013
COMUNICARE
Ieri ero impegnato nel rilascio di un parere su una “valutazione di incidenza” (roba importante!!!), l’altro giorno mi sono dedicato ad un progetto presentato in ambito PSR, giovedì conducevo degustazioni guidate di oli extravergine di oliva nello stand allestito presso la Fieragricola di Pastorano dalla Regione Campania, ente per il quale lavoro. Quanto varia è la mia attività!
Devo dire che dei tre impegni che ho elencato, e ancora tanti altri ne potrei elencare, di gran lunga ho preferito il terzo. ..Si, perché incontrare tutte quelle persone, suscitare in loro curiosità ed interesse è stata un’esperienza elettrizzate e densa di gratifiche. Indicare il percorso più corretto che può portare anche un profano ad apprezzare e scegliere una di quelle meraviglie mediterranee che sono gli oli extravergine, mi ha coinvolto per un intero pomeriggio, insieme a validissimi colleghi. Che soddisfazione quando, ad intervento terminato, uomini e donne, giovani ed anziani cercavano di contattarmi per avere questo o quel chiarimento, per approfondire questo o quell’aspetto della problematica trattata.
Gli anziani, poi, sono stati quelli che più mi hanno sorpreso in modo positivo, la loro proverbiale preclusione nei confronti delle innovazioni sembra che in quel momento si fosse del tutto annullata: “ah, mò capisc p’cchè…”, “dottò e spiegat’me n’ata cosa…”, questo il feedback della giornata!
Più in generale è il mondo della comunicazione ad interessarmi e stimolarmi, questa la verità! Ed allora comunicare per mestiere tenendo un intervento nel corso di un convegno, guidando degustazioni di prodotti, incontrando tecnici ed agricoltori in ufficio; comunicare per diletto e diporto, scrivendo per giornali e riviste, tenendo aggiornato il blog che state leggendo, creatura che cresce di giorno in giorno, offrendomi mille soddisfazioni. Il tutto, in definitva, è legato da un unico filo rosso che fa della comunicazione mestiere, scuola di pensiero e stile di vita.
Il mestiere a volte non lo si sceglie, spesso sono le circostanze se non ad importelo, quantomeno ad indirizzarti fortemente in un senso piuttosto che in un altro. Non pensavo da bambino, da ragazzo e da giovane che l’indirizzo di studio scelto, quello agrario, mi avrebbe condotto fin qua ma … tant’è, ormai ci siamo e ci restiamo; e devo dire che ci restiamo bene, con piacere e senza rimpianti né pentimenti di sorta.
sabato 20 aprile 2013
CE 306816
Negli anni scorsi, con la 500 la FIAT ha conseguito un ampio successo commerciale grazie ad un modello del passato ripensato per il presente; sembra che adesso tale operazione di marketing stia per ripetersi riproponendo, stavolta, un must degli anni 70/80: la 127.
La cosa (siamo alle solite) richiama alla memoria quella che è stata la mia prima auto, la 127, appunto: questa la storia.
Mi sembra proprio ieri, eppure sono passati ben 33 anni, da quel fantastico 3 gennaio 1980: in quel bel pomeriggio invernale sono andato a ritirarla, la mia fiammante Fiat 127, acquistata presso la concessionaria Gargiulo di Caserta. Il viaggio in corriera fino a Caserta, insieme al carissimo Costantino, guidatore “esperto” designato per accompagnarmi, il ritorno e l’arrivo in paese, tra l’incredulità meravigliata (finta per alcuni, autentica per altri). Era la prima volta che un’auto entrava in casa, non avendo mio padre mai voluto conseguire la patente di guida; tale fatto introduceva anche problemi di logistica, la nostra casa, infatti, non è stata pensata per le auto e non ha mai avuto un garage. Si finì per parcheggiare l’auto nel portone, ma le dimensioni erano poco compatibili, infatti solo pochi millimetri separavano la carrozzeria dal pesante manufatto in ferro; bastava una distrazione anche minima … ed il carrozziere poteva gioire.
La ricordo anche nei minimi dettagli: CE 306816, la targa, BLU LORD il colore, secondo il catalogo della casa torinese, L la versione, due sportelli ed, ahimè, niente sedili reclinabili!!! Un motore brillante ed economico, una abitabilità di tutto rispetto, tenuto conto del tipo di vettura.
Gli anni della 127 sono stati quelli più belli ed importanti della mia vita e della mia formazione. Erano quelli gli anni dell’università, degli amori più intensi, delle alterne fortune, ma tutto ciò, comunque, in grado di tracciare un segno indelebile sul mio io ancora in formazione.
Come non ricordare le sere d’inverno trascorse in piazza, ascoltando musica e lei, accogliente e discreta, ad offrirci ricovero ed ospitalità. Le giornate al mare, i viaggi con la famiglia, insieme alle persone più care che oggi vivono solo nel ricordo, i primi spostamenti di lavoro insieme ai primi guadagni con la professione.
Otto bellissimi anni di convivenza, tanto è durata la storia, fino al 1988, quando a causa delle mutate esigenze di mobilità e dei costi vertiginosi della benzina (a pensarci bene un litro costava solo intorno agli attuali 50 centesimi) fui costretto ad optare per un diesel.
Dopo averla venduta l’ho tenuta d’occhio per un po’, essendo passata di mano ad una o due famiglie di pietramelara , dopo ci siamo definitivamente persi di vista …si sa come vanno a finire certe cose.
La cosa (siamo alle solite) richiama alla memoria quella che è stata la mia prima auto, la 127, appunto: questa la storia.
Mi sembra proprio ieri, eppure sono passati ben 33 anni, da quel fantastico 3 gennaio 1980: in quel bel pomeriggio invernale sono andato a ritirarla, la mia fiammante Fiat 127, acquistata presso la concessionaria Gargiulo di Caserta. Il viaggio in corriera fino a Caserta, insieme al carissimo Costantino, guidatore “esperto” designato per accompagnarmi, il ritorno e l’arrivo in paese, tra l’incredulità meravigliata (finta per alcuni, autentica per altri). Era la prima volta che un’auto entrava in casa, non avendo mio padre mai voluto conseguire la patente di guida; tale fatto introduceva anche problemi di logistica, la nostra casa, infatti, non è stata pensata per le auto e non ha mai avuto un garage. Si finì per parcheggiare l’auto nel portone, ma le dimensioni erano poco compatibili, infatti solo pochi millimetri separavano la carrozzeria dal pesante manufatto in ferro; bastava una distrazione anche minima … ed il carrozziere poteva gioire.
La ricordo anche nei minimi dettagli: CE 306816, la targa, BLU LORD il colore, secondo il catalogo della casa torinese, L la versione, due sportelli ed, ahimè, niente sedili reclinabili!!! Un motore brillante ed economico, una abitabilità di tutto rispetto, tenuto conto del tipo di vettura.
Gli anni della 127 sono stati quelli più belli ed importanti della mia vita e della mia formazione. Erano quelli gli anni dell’università, degli amori più intensi, delle alterne fortune, ma tutto ciò, comunque, in grado di tracciare un segno indelebile sul mio io ancora in formazione.
Come non ricordare le sere d’inverno trascorse in piazza, ascoltando musica e lei, accogliente e discreta, ad offrirci ricovero ed ospitalità. Le giornate al mare, i viaggi con la famiglia, insieme alle persone più care che oggi vivono solo nel ricordo, i primi spostamenti di lavoro insieme ai primi guadagni con la professione.
Otto bellissimi anni di convivenza, tanto è durata la storia, fino al 1988, quando a causa delle mutate esigenze di mobilità e dei costi vertiginosi della benzina (a pensarci bene un litro costava solo intorno agli attuali 50 centesimi) fui costretto ad optare per un diesel.
Dopo averla venduta l’ho tenuta d’occhio per un po’, essendo passata di mano ad una o due famiglie di pietramelara , dopo ci siamo definitivamente persi di vista …si sa come vanno a finire certe cose.
domenica 14 aprile 2013
Le mie "madeleines"
L’ episodio della “medeleine” , un biscottino a forma di conchiglia da inzuppare nel tè, è contenuto nel romanzo “La ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust e ne è uno dei passi salienti: abbastanza noto, esso introduceva, per la prima volta nella letteratura, la grande intuizione che l’olfatto e il gusto hanno un ruolo fondamentale per la memoria e per il recupero dei ricordi. Nel 1911, l’anno appunto a cui esso risale, gli scienziati non avevano ancora idea di come i nostri sensi comunicassero all’interno del cervello. Oggi le neuroscienze sanno che Proust aveva ragione. I sensi dell’olfatto e del gusto sono quelli più “sentimentali”, più soggettivi e meno trasmissibili. Sarà capitato anche a voi, miei cari quattro lettori, di avvertire un odore o un sapore particolare, ed immediatamente di ritornare con la mente ad un luogo o ad una situazione particolare legata a quell’odore o a quel sapore.
Chi, come me, ha moltissimi ricordi, una memoria zeppa e traboccante quanto un vaso pieno fino all’orlo, avrà vissuto mille situazioni analoghe a quella del grande scrittore francese.
Ad esempio, per chi scrive, come per tanti altri, l’odore del gesso richiama fortemente alla mente i giorni della scuola, le emozioni vissute insieme ai miei compagni, le paure e le gioie tra i banchi.
La tipica fragranza dolciastra della cera che brucia nelle candele, i momenti in parrocchia, ai tempi di Don Pasqualino…
L’odore del letame (per altri è molto più volgarmente una “puzza”) i bei giorni vissuti alla Masseria San Pasquale, luogo in cui ho imparato ad amare la campagna ed il mondo agricolo, la natura e la vita all’aria aperta.
Può sembrare strano, inoltre, ma collego l’odore della creolina alla Sagra al Borgo; non scherzo, questo riflesso è stato indotto in me quando, poco più che adolescente, frequentavo il paese alto nei giorni di preparazione dell’evento; il borgo nei primi anni ’70 era quasi del tutto abitato da pietramelaresi (oggi il nostro dialetto è stato soppiantato dal rumeno), e qualche famiglia allevava ancora, nei sottoscala e nei “cellari” e negli “stallucci”, pollame e maiali; per migliorare allora l’igiene di quel luogo la creolina era il disinfettante utilizzato in abbondanza da noi ragazzi che collaboravamo alla migliore riuscita di quella manifestazione. Se ne usava tale e tanta che alla fine l’odore pungente predominava su ogni altro.
Il caffè preparato con la moka, invece mi riporta con forza ai laboratori del Dipartimento di Botanica, al tempo dell’Università; erano gli anni della gioventù, e tale odore in quei luoghi, era gradevolissimo ma perenne, tanto da far pensare che ci fosse qualcuno addetto solo ed esclusivamente a preparare caffè.
E tanto altro ancora…visto quanto poco è sufficiente a rinvangare il passato, a suscitare la nostalgia?
I ricordi ed il passato fanno parte indissolubilmente di noi, e mai potremo separarcene, tuttavia la vita è composta di passato, presente e chissà, forse, di futuro; ed allora guardiamo avanti!
domenica 7 aprile 2013
FILOSOFIA DEL POTATORE
Dopo due giorni interi (o quasi) trascorsi in campagna, a potare olivi e raccogliere frasche di potatura sotto un sole che si fa sentire, per quanto tiepido e gentile, è naturale che il colorito divenga più accentuato e che la pelle del viso, da rosea diventi più scura sotto l’effetto della melanina presente.
E’ questo l’aspetto della gente abituata a vivere e lavorare all’aria aperta, specie se poi si posseggono geni di provenienza spiccatamente mediterranea.
La gente che ti incontra per strada o in ufficio si chiede se sei uso frequentare centri abbrozzanti o spiagge caraibiche, ma la risposta (inorgoglita) è sempre la stessa: “avete davanti un uomo che si ostina a zappare la terra, a trarre da essa soffio vitale, anche senza alcuna pretesa di ricavarne reddito”.
Sono momenti di fatica intensa, i miei vissuti in campagna, ma anche di serenità profonda, di immersione completa nella natura, o, se vogliamo, in quella sintesi di uomo e natura che è il nostro paesaggio agrario
Gli anni avanzano e la fatica si fa sentire sempre di più e sempre prima, rispetto al passato, ma la soddisfazione rimane.
Ritengo, poi, nello specifico, che la potatura presenti forti affinità con un arte ben più nobile e famosa: la scultura. Ambedue consistono, infatti, nel trarre da un elemento grezzo qualcosa di già presente in esso, scartando il superfluo. Quale differenza volete che faccia se, al posto dello scalpello, vengano usate delle cesoie, nel nostro dialetto “forbici r’ puta”?
L’atteggiamento del potatore nei confronti della pianta, inoltre, richiama anch’esso da vicino quello dello scultore con il marmo, il legno o l’argilla: si plasma, si taglia, si modella e mentre si lavora ci si allontana un poco, di qualche metro, per avere un immagine d’insieme della scultura (o della pianta) e, a lavoro finito, si fa altrettanto, per verificare se il risultato è veramente soddisfacente o se c’è ancora bisogno di piccoli colpi di scalpello (o di forbici).
Un vecchio proverbio cinese afferma che ”un uomo può dirsi veramente tale solo quando ha cresciuto un figlio, ha scritto un libro o ha piantato un albero”. Quando poi si ha la fortuna anche di veder crescere l’albero che è stato piantato, prestandogli ogni cura ed attenzione, nutrendolo e potandolo, la soddisfazione è fortissima, soprattutto quando i risultati sono tangibili… ma bisogna aspettare!
Le gente dei campi che mi ha insegnato, con semplicità e senza pretese, la filosofia “del pensiero debole”, sa aspettare e sa che pretendere tutto e subito da un uomo, da una donna, da un animale o da una pianta è sbagliato.
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