Ricordate?...Sono questi i giorni centrali di una stagione in cui si consumava (e si consuma ancora anche se molto meno) un rito cruento e festoso al tempo stesso: nel gelo tipico di queste mattine, il silenzio del paese veniva squarciato da urla agghiaccianti, rantoli che divenivano via via più flebili, fino ad estinguersi del tutto di nuovo nel silenzio. Qualche forestiero poco avvezzo alle “nostre cose” poteva impressionarsi, ma si trattava solo dell’uccisione del maiale. Era una sorta di sacrificio pagano il cui rituale si tramanda da secoli attraverso le generazioni. Un gancio ed un coltello appuntito per trafiggere il povero suino destinato a salsicce, prosciutti e lonze; esso veniva poi “scorticato”, cioè privato delle setole, si provvedeva infine a privarlo delle interiora e una volta decapitato lo si divideva in due metà, in senso longitudinale. Tali metà erano e sono dette ancora “pacche”, nel nostro dialetto denso di sonorità. A questo punto il rito si interrompeva e si lasciavano le “pacche” appese per permettere alla carne troppo fresca di frollare al rigido inverno. Solo all’indomani mattina il lavoro riprendeva ed il maiale veniva “scurtellato” cioè diviso nei vari tagli.
Crescendo il maiale si alimentava di cose povere, rifiuti alimentari che venivano pertanto sottratti all’immondizia e nobilitati; il rito dell’uccisione del maiale, poi, era collegato con tante altre tradizioni che facevano da cornice e corollario: lo scambio degli “arrusti” (assaggi) fra famiglie del vicinato e della parentela, il riunirsi delle donne per tagliare “a punta di coltello” le carni da insaccare; tra l’altro la regola imponeva che le donne venissero scrupolosamente ispezionate dalle anziane di casa, per evitare che qualcuna, indisposta dal ciclo mestruale, toccasse le carni e che queste, così contaminate, andassero incontro ad un’ineluttabile avariarsi.
Questa breve sintesi di una tradizione, ci rende conto di una cultura contadina le cui regole, fisse ed immutabili, non sono state mai scritte da nessuno, tuttavia vigevano codificate attraverso la tradizione orale.
L’uccisione del maiale era in passato un episodio gioioso e ricco di significati sociali e solidali, soprattutto tenuto conto delle condizioni economiche non particolarmente floride in cui si viveva dalle nostre parti, un occasione per “scialare” con cose semplici e buonissime: carne sauccicciara, zuffrittu, braciole di cotiche, sanguinacci e tanto altro.
Il maiale rappresentava, per la nostra gente, il parallelo del “Dio Bisonte” dei nativi nordamericani: di esso nulla era inutile, pelle, orecchie, piedi, interiora, tutto poteva placare una fame atavica, figlia di una povertà dignitosa e mai miserabile.
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RispondiEliminaMolto interessante. Grazie per queste belle memorie....
RispondiEliminaRicordi di un'infanzia non lontanissima, seppure mai assistenti al delitto suino, ma partecipa annualmente alla trinciatura della carne per fare le salsiccie che si conservava o sotto la sugna o sott'olio tutto l'anno e diventava sempre più buona. Andavamo a dare una mano a tagliare la carne agli zii che 'compravano il maiale" vivo e a casa il capofamiglia procedeva alla sua sezionatura, mentre la padrona di casa (la zia) puntualmente ci faceva mangiare pasta e fagioli. Poi si faceva anche a casa mia, ma in misura ridotta vista l' esiguita'della famiglia (mezzo maiale statura medio - piccola) e.... Sempre pasta e fagioli che si cuoce a o piano piano sulla stufa a legna. Bei tempi!
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