In un recente articolo a
firma di Enzo Mulieri, su “Il Mattino”, si descrive il successo del comparto
agroalimentare campano, in particolare quello della nostra provincia, seconda
solo a quella di Salerno in Campania, con un fatturato esportato pari a 139
milioni di euro solo nel primo quadrimestre 2023. I progressi migliori sono
stati quelli dei cosiddetti prodotti “di nicchia” o eccellenze agroalimentari: l’ortofrutta
prima di tutto, ma anche il comparto vitivinicolo. Se tutti gli altri comparti
dell’economia si fossero comportati allo stesso modo non ci sarebbe alcuna
preoccupazione per il futuro sviluppo. All’origine del successo delle
eccellenze casertane più di una motivazione: il suolo, in gran parte vulcanico
che conferisce particolare sapore ed aroma a tutto, il clima mite, le
tradizioni millenarie che tramandano una cultura nel campo dei vini, dei
prodotti lattiero-caseari, della pasta, delle conserve di pomodoro e quant’altro.
Queste confortanti notizie per l’economia locale inducono una serie di considerazioni. In primo luogo la miopia delle scelte operate fino agli anni ottanta, che volevano trasformare il nostro territorio in una grande e anonima area industrializzata disseminando capannoni, un po’ dappertutto, che venivano abbandonati ai primi segnali di crisi economica o finanziaria, trasformandosi poi in brutture che segnano per sempre un paesaggio di singolare bellezza.
L’effetto positivo dell’enogastronomia locale, inoltre induce un parallelo sviluppo del turismo: i cosiddetti “turisti del gusto” sono sempre più invogliati a raggiungere agriturismi, locande e borghi anche se fuori mano e lontani dai flussi più intensi. In particolare il prendere corpo ed il successo del “turismo lento”, dei pellegrini francigeni, ad esempio, può comportare un ulteriore stimolo alla creazione di nuove interessanti micro attività di trasformazione, da realizzare, magari, in un vecchio fabbricato rurale, altrimenti destinato all’abbandono e al degrado.
Un pauso va riconosciuto agli attori di questa fase: produttori e trasformatori piccoli, medi e grandi, ristoratori e organizzazioni professionali. Fare impresa dalle nostre parti non è cosa agevole, e condizionamenti negativi di varia natura e di cui già si è tanto discusso, rendono particolarmente difficile il cammino di chi vuole progredire e svilupparsi. D’altronde quel connubio di ambiente e socialità di cui si parlava prima ha prodotto, nei trenta secoli di storia di questa terra, saperi e tecnologie difficilmente ripetibili.
E’ da temere, allora, quel diffuso costume di imitare il made in Italy? Il cosiddetto Italian Sounding, tentativo truffaldino di confondere il consumatore richiamando l’Italia nelle confezioni, può rappresentare un pericolo reale? Forse si!… Tuttavia uno sforzo di comunicazione anche in tal campo può fare la differenza, insegnando a distinguere, a preferire e conoscere i nostri prodotti agroalimentari, anche all’Estero.
Queste confortanti notizie per l’economia locale inducono una serie di considerazioni. In primo luogo la miopia delle scelte operate fino agli anni ottanta, che volevano trasformare il nostro territorio in una grande e anonima area industrializzata disseminando capannoni, un po’ dappertutto, che venivano abbandonati ai primi segnali di crisi economica o finanziaria, trasformandosi poi in brutture che segnano per sempre un paesaggio di singolare bellezza.
L’effetto positivo dell’enogastronomia locale, inoltre induce un parallelo sviluppo del turismo: i cosiddetti “turisti del gusto” sono sempre più invogliati a raggiungere agriturismi, locande e borghi anche se fuori mano e lontani dai flussi più intensi. In particolare il prendere corpo ed il successo del “turismo lento”, dei pellegrini francigeni, ad esempio, può comportare un ulteriore stimolo alla creazione di nuove interessanti micro attività di trasformazione, da realizzare, magari, in un vecchio fabbricato rurale, altrimenti destinato all’abbandono e al degrado.
Un pauso va riconosciuto agli attori di questa fase: produttori e trasformatori piccoli, medi e grandi, ristoratori e organizzazioni professionali. Fare impresa dalle nostre parti non è cosa agevole, e condizionamenti negativi di varia natura e di cui già si è tanto discusso, rendono particolarmente difficile il cammino di chi vuole progredire e svilupparsi. D’altronde quel connubio di ambiente e socialità di cui si parlava prima ha prodotto, nei trenta secoli di storia di questa terra, saperi e tecnologie difficilmente ripetibili.
E’ da temere, allora, quel diffuso costume di imitare il made in Italy? Il cosiddetto Italian Sounding, tentativo truffaldino di confondere il consumatore richiamando l’Italia nelle confezioni, può rappresentare un pericolo reale? Forse si!… Tuttavia uno sforzo di comunicazione anche in tal campo può fare la differenza, insegnando a distinguere, a preferire e conoscere i nostri prodotti agroalimentari, anche all’Estero.