Succede, immagino, anche a voi: alle volte ripercorriamo luoghi che in gioventù ci sono stati familiari, per lavoro, per studio, diletto o altro e … immediatamente cominciano a scorrere davanti agli occhi le immagini dei ricordi legati a quei luoghi. E’ successo anche stamattina, mentre accompagnavo un gruppo di escursionisti, provenienti da Napoli e Caserta, tra i sentieri del Monte Maggiore, precisamente sul sentiero che dalle “fosse della neve” conduce all’eremo di Santa Maria a Fradejanne, un dislivello di circa 300 metri di quota da colmare in meno di un’ora; pertanto ero impegnato a fare da guida a questi escursionisti nell’ambito delle attività poste in essere da Work in Progress Pietramelara, guidata da Giovanni Zarone; l’evento in particolare era denominato “Passeggiata Naturalistica del Monte Maggiore”, programmato dapprima per la scorsa domenica e rimandato a oggi 27 settembre, causa maltempo.
Dei ricordi che ispirava il posto, dicevo, ed allora mi è tornata alla mente la figura di un giovane agronomo con molti anni e molti chili in meno, in grado di muoversi con rapidità su quegli erti pendii montani con una laurea appena conseguita in tasca, esperienza professionale poco più che nulla, ma con grande voglia di fare, di progredire e di conoscere.
A questo giovane era stato affidato l’incarico di dirigere alcuni cantieri di riforestazione per conto della Comunità Montana del Monte Maggiore, e da allora i boschi, i sentieri le radure erano diventati il suo elemento e anche l’occasione per conoscere il Monte Maggiore metro per metro, albero per albero. Ed è successo che a quel giovane, ormai oggi in età matura, mentre si inerpicava insieme a quei ragazzi che ascoltavano attenti le sue descrizioni sulle tipologie di bosco, sulle specie, sugli habitat, sulla fauna e sulla flora, la macchina del tempo ha cominciato a funzionare. E così sono ricomparse nella memoria vecchie immagini di uomini intenti al lavoro in quei luoghi, del loro caposquadra, il compianto Giovannino, compagno infaticabile di esplorazioni per tracciare stradelli e gradoni, che approfittava dell’isolamento del bosco per parlare con il giovane, che con rispetto chiamava dottore, per metterlo a corrente delle sue cose, per chiedergli consigli, per esporre il proprio parere su questo o quell’altro operaio, e sui rapporti interpersonali che si erano instaurati fra i vari componenti del gruppo di lavoro.
Altri pensieri, altri ricordi, altre immagini, man mano che il cammino procedeva: proprio sul sentiero che stamattina si percorreva fu pensato circa trent’anni fa il nuovo tracciato più breve e agevole che permetteva di raggiungere l’Eremo di Fradejanne senza passare per la località detta “Noccia”, il tutto grazie all’impegno di quel giovane, di quegli operai e del loro caposquadra. La cosa costituì una grossa novità ed innovazione e un gruppo di fedeli pietramelaresi, che faceva capo al buon Peppino Casillo e consorte pensò allora di dotare il sentiero delle quattordici stazioni della Via Crucis e di sistemare la cappellina che si raggiungeva alla fine del sentiero. Alla fine del lavoro il tutto fu inaugurato e riprese vita anche la tradizione di salire a Fradejanne la mattina del primo maggio; il carissimo Don Pasqualino, anche se ormai ampiamente ottuagenario e malfermo nella salute salì a piedi lungo l’intero sentiero, conferendo a quell’atmosfera festosa, grazie alle sue parole, anche una certa spiritualità.
Cose vecchie di un tempo e di una gioventù ormai trascorsa, ma in grado di riemergere alla memoria al minimo stimolo esterno .
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