La Pro Loco di Pietramelara vanta una storia quarantennale, molto più lunga di quelle degli altri paesi vicini. Nata negli anni ‘70 ad opera di un gruppo di persone a cui stava evidentemente a cuore Pietramelara, la comunità che vi abita ed il suo territorio, ha vissuto alterne vicende: momenti di luce e periodi bui. Non si può attribuire il momento attuale ai primi … è evidente! Cancellazioni di eventi ormai entrati di diritto nella tradizione locale e malumori diffusi in seno al consiglio direttivo delineano un istituzione in piena crisi di iniziativa e progettualità, insieme ad una sostanziale disomogeneità di vedute tra coloro che le decisioni dovrebbero prenderle di volta in volta. Cosa succede? A circa un anno dalla tragica fine di Giuseppe, ultimo presidente “illuminato”, chi, con espedienti vari, ha cercato di raccoglierne l’eredità non ha fatto altro che mietere insuccessi; l’eco più evidente ce lo manda fb, con tutti i post di protesta, con i commenti e le risposte piccate. Basterebbe a questo punto una presa di coscienza dell’attuale momento di crisi da parte dell’attuale presidente e del direttivo, logiche dimissioni e ritorno al voto, come unica soluzione legittima e democratica a tale stato di cose? Io dico di no! … Chi ha conosciuto la Pietramelara di qualche decennio fa stenta a riconoscere in essa quella attuale, e rassicuro i miei quattro lettori che il mio non è affatto trito nostalgismo: basta, per rendersene conto, ricordare gli eventi, le sagre, il carnevale di allora, la voglia di partecipare, di dare una mano, il coinvolgimento di larghissimi strati della popolazione. Purtroppo, e sono il primo a dolermene, il tessuto sociale e la coesione sono a brandelli: non solo nella Pro Loco , ma anche in ogni altra istituzione, ci si muove più che altro per autorefenzialità e ansia di protagonismo, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Chi condivide quest’analisi drammatica converrà che difficilmente dalle urne possa emergere una Pro Loco migliore dell’attuale. E’ inutile girarci intorno: la vicenda dei recenti malumori in seno al consiglio direttivo della nostra Pro Loco, non è che l’ennesima sfaccettatura del degrado in cui versano le istituzioni nel nostro paese! Nessuno ne è immune: comune, partiti, sodalizi vari e … dulcis in fundo, la Pro Loco.
Urge, oggi come non mai, una radicale evoluzione della mentalità e del volere collettivo che porti ad una vera e propria rivoluzione pacifica in grado di superare l’attuale stallo. E’ altresì importante ritrovare quel “comune sentire” che tanti successi ha prodotto per Pietramelara e i suoi figli nella politica del territorio, nell’economia e nella cultura. Solo allora, a scenari ed i protagonisti cambiati sarà opportuno un riassortimento delle energie e delle persone. Solo allora i giovani, soprattutto, potranno dare un contributo fattivo di progettualità ed azioni materiali, allo scopo di scrollarci la tanta polvere che ci si è accumulata addosso. E’ un processo che deve partire dal basso, fortemente voluto dalla popolazione. Dubito che esistano alternative proponibili!
Scribacchiando per me
mercoledì 30 luglio 2014
sabato 26 luglio 2014
IN CANOA
Una vacanza, per quanto breve possa essere, possiede comunque il merito di distrarti da ogni cosa che ti procura ansia, inquietudine, e da quella smaniosa ed insana voglia di migliorare, fino a renderlo perfetto, il lavoro che cerchi di portare avanti. Mi sono concesso una pausa e adesso … rieccomi, torno alle “usate cose”: il viaggio, l’ufficio, la famiglia ed i suoi doveri, le incombenze della campagna in una stagione insolitamente strana, soprattutto da punto di vista meteorologico.
Positiva, dicevo, la breve vacanza, soprattutto perché ho veramente fatto ciò che volevo, senza alcuna costrizione organizzativa e di orario; dopo decenni, questa è stata la mia prima vacanza senza figlie al seguito e ciò, se da un lato ha comportato momenti di “perduta nostalgia”, dall’altro ha potuto appagarmi permettendomi di dormire, camminare sul bagnasciuga, giocare a carte, fare il bagno e soprattutto … andare in canoa!
La canoa?... si, questo piccolo natante dall’aspetto così poco rassicurante ma particolarmente adatto a chi vuole fare un po’ di esercizio fisico (senza esagerare) e vedere posti che con altri mezzi acquatici non si potrebbero vedere, in altre parole un po’ l’omologo acquatico della mountain bike. Chi mi segue su fb avrà anche visto qualche foto che mi ritrae in canoa; qualcuno, in particolare vena di spirito e sfottò, guardandole è arrivato a paragonarmi ad Indiana Jones, ed allora … delle due una: o il paragone non calza affatto, oppure costui ricordava un Harrison Ford in periodo di “momentaneo sovrappeso”. Con la canoa si esplorano grotte dalla volta tanto bassa da costringerti ad abbassare la testa, o tanto strette da non permettere neppure di stendere la pagaia al completo; pagaiando in una di queste grotte, ho rischiato anche di investire un sub, evidentemente tanto improvvisato in tale ruolo quanto lo ero io in quello di canoista; tutto sommato, però, devo dire che con la canoa mi sono davvero divertito.
Per amore di chiarezza, va detto infine che il sottoscritto blogger scribacchiante non si ritiene affatto un “lupo di mare”… giammai ! Tutt’al più il contrario: un animale terricolo teso all’elemento marino con grande ammirazione e trasporto emotivo. In virtù e coerenza con tale definizione ritengo che il mare, in canoa, in barca o a nuoto vada amato, ma soprattutto temuto e rispettato, senza alcuna pretesa di strafare ed avventurarsi in situazioni al limite del pericolo.
Positiva, dicevo, la breve vacanza, soprattutto perché ho veramente fatto ciò che volevo, senza alcuna costrizione organizzativa e di orario; dopo decenni, questa è stata la mia prima vacanza senza figlie al seguito e ciò, se da un lato ha comportato momenti di “perduta nostalgia”, dall’altro ha potuto appagarmi permettendomi di dormire, camminare sul bagnasciuga, giocare a carte, fare il bagno e soprattutto … andare in canoa!
La canoa?... si, questo piccolo natante dall’aspetto così poco rassicurante ma particolarmente adatto a chi vuole fare un po’ di esercizio fisico (senza esagerare) e vedere posti che con altri mezzi acquatici non si potrebbero vedere, in altre parole un po’ l’omologo acquatico della mountain bike. Chi mi segue su fb avrà anche visto qualche foto che mi ritrae in canoa; qualcuno, in particolare vena di spirito e sfottò, guardandole è arrivato a paragonarmi ad Indiana Jones, ed allora … delle due una: o il paragone non calza affatto, oppure costui ricordava un Harrison Ford in periodo di “momentaneo sovrappeso”. Con la canoa si esplorano grotte dalla volta tanto bassa da costringerti ad abbassare la testa, o tanto strette da non permettere neppure di stendere la pagaia al completo; pagaiando in una di queste grotte, ho rischiato anche di investire un sub, evidentemente tanto improvvisato in tale ruolo quanto lo ero io in quello di canoista; tutto sommato, però, devo dire che con la canoa mi sono davvero divertito.
Per amore di chiarezza, va detto infine che il sottoscritto blogger scribacchiante non si ritiene affatto un “lupo di mare”… giammai ! Tutt’al più il contrario: un animale terricolo teso all’elemento marino con grande ammirazione e trasporto emotivo. In virtù e coerenza con tale definizione ritengo che il mare, in canoa, in barca o a nuoto vada amato, ma soprattutto temuto e rispettato, senza alcuna pretesa di strafare ed avventurarsi in situazioni al limite del pericolo.
sabato 12 luglio 2014
ce passa u’ fuocu ‘ncoppa e n’s’ appiccia
La civiltà contadina dalla quale ancora attingiamo a piene mani valori, stili di vita, modi di dire, possiede un comune denominatore: l’amore per la terra. E’ questo un amore singolare e forte, che a volte è divenuto talmente intenso da toccare il limite e sfociare nella repulsione, se non nell’odio; si sa, d’altronde, che gli estremi coincidono!
La terra, fondamentale e principale strumento di produzione; la gente della terra di un tempo ha amato tanto i suoi campi da sottoporsi a qualsiasi sacrificio e privazione, pur di acquistarli. Ritengo che questo aspetto del carattere contadino poco o nulla abbia a che fare con l’avidità e la voglia di possedere, piuttosto intravedo in esso l’unico sistema e metodo per non separarsi da essi, per sentirsi liberi ed al sicuro da padroni avidi.
E’ tanto forte il legame della nostra gente con la terra da aver generato un proverbio sentenzioso, che la dice lunga: “ a terra, ce passa u’ fuocu ‘ncoppa e n’s’ appiccia” (trad. : sulla terra può anche passarci il fuoco ma non si incendia), cioè essa rimane li, intatta, con ogni sua caratteristica di fertilità, anche dopo un evento distruttivo; la saggezza popolare fa sue e traduce in poche parole semplici ed efficaci le convinzioni che si sono formate nel tempo. Certo, dicevo, che il fuoco poco o nulla poteva, tuttavia calamità del tipo frane e fenomeni erosivi, loro sì, che arrecavano gravi danni: ecco allora che la gente contadina , per prevenire tali negatività si è data da fare per realizzare quella sconfinata rete di “macère” (muri di sostegno a secco), fossi ed alberature che costituiscono la spina dorsale, ma anche l’immagine esterna e riconoscibile del nostro paesaggio agrario. E’ per amore della terra che il contadino, vero precursore degli architetti del paesaggio, ha progettato e realizzato tutto questo nel corso dei secoli, e ci ha lasciato eredi di un bene di inestimabile valore, capace di conferire al territorio non solo aspetto ameno ed ospitale, ma anche e soprattutto sicurezza idrogeologica.
Non permettiamo l’indiscriminato consumo di suolo per costruire case ed opifici a cui assistiamo oggi: agli errori ed i danni commessi ed apportati non si potrà porre rimedio che fra vari secoli, quando di noi si sarà da tempo persa ogni memoria!
La terra, fondamentale e principale strumento di produzione; la gente della terra di un tempo ha amato tanto i suoi campi da sottoporsi a qualsiasi sacrificio e privazione, pur di acquistarli. Ritengo che questo aspetto del carattere contadino poco o nulla abbia a che fare con l’avidità e la voglia di possedere, piuttosto intravedo in esso l’unico sistema e metodo per non separarsi da essi, per sentirsi liberi ed al sicuro da padroni avidi.
E’ tanto forte il legame della nostra gente con la terra da aver generato un proverbio sentenzioso, che la dice lunga: “ a terra, ce passa u’ fuocu ‘ncoppa e n’s’ appiccia” (trad. : sulla terra può anche passarci il fuoco ma non si incendia), cioè essa rimane li, intatta, con ogni sua caratteristica di fertilità, anche dopo un evento distruttivo; la saggezza popolare fa sue e traduce in poche parole semplici ed efficaci le convinzioni che si sono formate nel tempo. Certo, dicevo, che il fuoco poco o nulla poteva, tuttavia calamità del tipo frane e fenomeni erosivi, loro sì, che arrecavano gravi danni: ecco allora che la gente contadina , per prevenire tali negatività si è data da fare per realizzare quella sconfinata rete di “macère” (muri di sostegno a secco), fossi ed alberature che costituiscono la spina dorsale, ma anche l’immagine esterna e riconoscibile del nostro paesaggio agrario. E’ per amore della terra che il contadino, vero precursore degli architetti del paesaggio, ha progettato e realizzato tutto questo nel corso dei secoli, e ci ha lasciato eredi di un bene di inestimabile valore, capace di conferire al territorio non solo aspetto ameno ed ospitale, ma anche e soprattutto sicurezza idrogeologica.
Non permettiamo l’indiscriminato consumo di suolo per costruire case ed opifici a cui assistiamo oggi: agli errori ed i danni commessi ed apportati non si potrà porre rimedio che fra vari secoli, quando di noi si sarà da tempo persa ogni memoria!
giovedì 3 luglio 2014
PIZZO SAN SALVATORE, 1037 m/slm
Camminare lungo i sentieri della pendice Nord del Monte Maggiore è un’esperienza che vale la pena di vivere: di mattina presto, con la rugiada ancora viva sulle foglie degli alberi e sulle erbe, ogni passo produce un suono ed un odore diversi. Si cammina, si suda, si osserva e si impara! Si… si impara, prima di tutto, a conoscere l’impronta che l’uomo nei secoli ha saputo dare a questo sistema, in apparenza del tutto naturale, ma in verità plasmato dal cammino di una civiltà iniziato “appena” tre millenni or sono. Si impara ad apprezzare le piante e tutto quello che ci danno in termini di nutrimento, legname e protezione idrogeologica, e soprattutto si impara a conoscere meglio se stessi, nel mio caso le possibilità che il fisico concede ad un’età ormai non del tutto “verde”.
E’ un’esperienza questa che io faccio sin da ragazzo, insieme ad amici o da solo, e che mi piace ripetere a scadenze più o meno regolari, anche se so di percorrere luoghi che conosco a menadito; infatti una delle miei primi incarichi professionali, a poco più di vent’anni, è stato quello di dirigere lavori di miglioramento boschivo e bonifica montana, per conto della Comunità Montana, proprio nella pendice Nord. La cosa comportava ore di cammino fra boschi e radure che, dopo qualche tempo ho imparato a conoscere ed amare.
Domenica mattina, sveglia presto e, alle sei e un quarto, si è partiti: meta Pizzo San Salvatore, cima più alta del Monte Maggiore, quota 1037 m/slm, punto in cui si incontrano i confini dei territori di Pietramelara, Rocchetta e Croce e Formicola. Un luogo che, nonostante la nebbia di quel mattino, possiede sempre un fascino ed un’attrattiva particolare. Infatti le altre innumerevoli volte che sono gunto sin lassù ho potuto godere di panorami mozzafiato; chi non ha avuto la fortuna di recarvisi anche una sola volta deve sapere che da quel punto, specie nelle giornate più limpide è possibile ammirare, guardando verso ovest la sponda del Tirreno dal Circeo fino al Vesuvio, sull’orizzonte le Isole Ponziane e l’arcipelago napoletano, sino a Capri, che si stacca appena appena da Punta della Campanella, in agro di Sorrento; dall’altro alto, volgendo le spalle al mare, l’entroterra con il vulcano del Roccamonfina, il Matese, il Taburno e sotto i tuoi piedi la Piana di Pietramelara, disseminata di borghi, masserie, vigne, alberature e piccoli corsi d’acqua.
Domenica no, tutto questo non c’era; al suo posto –dicevo- c’era la nebbia. Si trattava però di una nebbia affascinante e foriera di emozioni, una nebbia dinamica, in continuo movimento da ovest verso est. Non la solita nebbia grigia piagnucolosa a cui siamo abituati nelle mattine autunnali, era una nebbia viva questa, direi quasi allegra. Quando dalla cima, da veri uomini duri ci siamo avventurati per la discesa ripida e sdrucciolevole in località “pelvicciolla”, sembra quasi che questa nebbia, notatici, ci abbia voluto inseguire e, alcune lingue di essa risalendo dal mare hanno superato il crinale e ci hanno quasi avvolti in essa. E’ stato un po’ come vivere le sensazioni del Werther nella brughiera, di “Goethiana” memoria, immersi in quella eterea matrice.
E’ un’esperienza questa che io faccio sin da ragazzo, insieme ad amici o da solo, e che mi piace ripetere a scadenze più o meno regolari, anche se so di percorrere luoghi che conosco a menadito; infatti una delle miei primi incarichi professionali, a poco più di vent’anni, è stato quello di dirigere lavori di miglioramento boschivo e bonifica montana, per conto della Comunità Montana, proprio nella pendice Nord. La cosa comportava ore di cammino fra boschi e radure che, dopo qualche tempo ho imparato a conoscere ed amare.
Domenica mattina, sveglia presto e, alle sei e un quarto, si è partiti: meta Pizzo San Salvatore, cima più alta del Monte Maggiore, quota 1037 m/slm, punto in cui si incontrano i confini dei territori di Pietramelara, Rocchetta e Croce e Formicola. Un luogo che, nonostante la nebbia di quel mattino, possiede sempre un fascino ed un’attrattiva particolare. Infatti le altre innumerevoli volte che sono gunto sin lassù ho potuto godere di panorami mozzafiato; chi non ha avuto la fortuna di recarvisi anche una sola volta deve sapere che da quel punto, specie nelle giornate più limpide è possibile ammirare, guardando verso ovest la sponda del Tirreno dal Circeo fino al Vesuvio, sull’orizzonte le Isole Ponziane e l’arcipelago napoletano, sino a Capri, che si stacca appena appena da Punta della Campanella, in agro di Sorrento; dall’altro alto, volgendo le spalle al mare, l’entroterra con il vulcano del Roccamonfina, il Matese, il Taburno e sotto i tuoi piedi la Piana di Pietramelara, disseminata di borghi, masserie, vigne, alberature e piccoli corsi d’acqua.
Domenica no, tutto questo non c’era; al suo posto –dicevo- c’era la nebbia. Si trattava però di una nebbia affascinante e foriera di emozioni, una nebbia dinamica, in continuo movimento da ovest verso est. Non la solita nebbia grigia piagnucolosa a cui siamo abituati nelle mattine autunnali, era una nebbia viva questa, direi quasi allegra. Quando dalla cima, da veri uomini duri ci siamo avventurati per la discesa ripida e sdrucciolevole in località “pelvicciolla”, sembra quasi che questa nebbia, notatici, ci abbia voluto inseguire e, alcune lingue di essa risalendo dal mare hanno superato il crinale e ci hanno quasi avvolti in essa. E’ stato un po’ come vivere le sensazioni del Werther nella brughiera, di “Goethiana” memoria, immersi in quella eterea matrice.
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