Oggi, 25 settembre si
celebra la Giornata Mondiale dei Fiumi,
istituita nel 2005 per sensibilizzare l’opinione pubblica e incoraggiare una
migliore gestione dei corsi d’acqua in tutto il mondo.
I tragici fatti di questi giorni che hanno colpito le Marche hanno riportato l’attenzione sulla crisi climatica in atto e sulla vulnerabilità del nostro territorio, martoriato da decenni di cattiva gestione. In un batter d’occhio abbiamo fatto un salto dall’emergenza siccità a quella alluvioni. Se a questo aggiungiamo che il 60% delle acque dei fiumi italiani è chimicamente inquinata, con sversamenti illeciti di pesticidi, antibiotici, microplastiche e sostanze varie gettate nei corsi d’acqua dolce, il quadro generale peggiora.
Meno della metà dei corsi d’acqua è in buono stato ecologico e nonostante l’urgente necessità di ripristinare gli ecosistemi degradati, affrontando le cause principali della perdita di biodiversità, gli interventi sono spesso lontani dal risolvere la situazione.
Relativamente, allora, a tale problema qual è la situazione del nostro territorio pietramelarese? Per rispondere diciamo che esso non è attraversato da “fiumi” nel senso stretto della parola, ma solo da aste a carattere torrentizio, i cosiddetti “rivi”, che nel passato hanno rivestito un’importanza fondamentale quali elementi costitutivi di un paesaggio rurale di bellezza unica. Negli ultimi 30/40 anni, però, si è costruito dove non si doveva, per consumare suolo e buttare asfalto e cemento ovunque.
In ogni regione d’Italia i corsi d’acqua in alvei sono stati ristretti e sono state ridotte le zone di esondazione naturale, rendendole insufficienti a contenere le piene; da noi la situazione non è molto dissimile e periodicamente, in presenza di precipitazioni intense, come avvenuto nello scorso 8 dicembre 2021, giorno dell’Immacolata, ci misuriamo con pericoli incombenti, e danni alle cose e alle persone. A questo si aggiunga la condotta dissennata di chi permette che il poco verde urbano sia distrutto senza ragioni plausibili; chi ne ha responsabilità e si comporta in tal modo è un “ecocida”, cioè uno che deliberatamente distrugge la casa in cui abita. Il verde infatti, tra l’altro, frena l’azione battente delle acque e favorisce l’infiltrazione di esse nel suolo, evitando che esse vadano ad alimentare le “piene” dei rivi.
I nostri rivi hanno carattere stagionale, cioè sono attivi soprattutto nei mesi più piovosi, proprio per tale motivo costituiscono una sorta di “assicurazione sociale” contro le alluvioni e sono degni pertanto del massimo rispetto. La vegetazione spondale, per quanto freni la velocità delle acque, è importantissima perché favorisce la biodiversità naturale e, con le radici degli arbusti, rende stabili le sponde dei torrenti, essa va conservata e salvaguardata proprio per tali funzioni. Gli eventi di pulizia dei rivi e dei fossi dai rifiuti di irresponsabili, sono certamente meritori, tuttavia, a parere di chi scrive, devono essere indirizzati nel corpo di un’azione organica di tutela, che parta dagli organi di governo del territorio, altrimenti si sviliscono in occasioni di visibilità e lasciano il tempo che trovano, insieme alle loro “passerelle”.
I tragici fatti di questi giorni che hanno colpito le Marche hanno riportato l’attenzione sulla crisi climatica in atto e sulla vulnerabilità del nostro territorio, martoriato da decenni di cattiva gestione. In un batter d’occhio abbiamo fatto un salto dall’emergenza siccità a quella alluvioni. Se a questo aggiungiamo che il 60% delle acque dei fiumi italiani è chimicamente inquinata, con sversamenti illeciti di pesticidi, antibiotici, microplastiche e sostanze varie gettate nei corsi d’acqua dolce, il quadro generale peggiora.
Meno della metà dei corsi d’acqua è in buono stato ecologico e nonostante l’urgente necessità di ripristinare gli ecosistemi degradati, affrontando le cause principali della perdita di biodiversità, gli interventi sono spesso lontani dal risolvere la situazione.
Relativamente, allora, a tale problema qual è la situazione del nostro territorio pietramelarese? Per rispondere diciamo che esso non è attraversato da “fiumi” nel senso stretto della parola, ma solo da aste a carattere torrentizio, i cosiddetti “rivi”, che nel passato hanno rivestito un’importanza fondamentale quali elementi costitutivi di un paesaggio rurale di bellezza unica. Negli ultimi 30/40 anni, però, si è costruito dove non si doveva, per consumare suolo e buttare asfalto e cemento ovunque.
In ogni regione d’Italia i corsi d’acqua in alvei sono stati ristretti e sono state ridotte le zone di esondazione naturale, rendendole insufficienti a contenere le piene; da noi la situazione non è molto dissimile e periodicamente, in presenza di precipitazioni intense, come avvenuto nello scorso 8 dicembre 2021, giorno dell’Immacolata, ci misuriamo con pericoli incombenti, e danni alle cose e alle persone. A questo si aggiunga la condotta dissennata di chi permette che il poco verde urbano sia distrutto senza ragioni plausibili; chi ne ha responsabilità e si comporta in tal modo è un “ecocida”, cioè uno che deliberatamente distrugge la casa in cui abita. Il verde infatti, tra l’altro, frena l’azione battente delle acque e favorisce l’infiltrazione di esse nel suolo, evitando che esse vadano ad alimentare le “piene” dei rivi.
I nostri rivi hanno carattere stagionale, cioè sono attivi soprattutto nei mesi più piovosi, proprio per tale motivo costituiscono una sorta di “assicurazione sociale” contro le alluvioni e sono degni pertanto del massimo rispetto. La vegetazione spondale, per quanto freni la velocità delle acque, è importantissima perché favorisce la biodiversità naturale e, con le radici degli arbusti, rende stabili le sponde dei torrenti, essa va conservata e salvaguardata proprio per tali funzioni. Gli eventi di pulizia dei rivi e dei fossi dai rifiuti di irresponsabili, sono certamente meritori, tuttavia, a parere di chi scrive, devono essere indirizzati nel corpo di un’azione organica di tutela, che parta dagli organi di governo del territorio, altrimenti si sviliscono in occasioni di visibilità e lasciano il tempo che trovano, insieme alle loro “passerelle”.