Stamattina, era ancora
scuro il cielo, passando per la periferia di Riardo, sono rimasto scosso da
colpi rumorosi, credendo di aver urtato qualcosa con l’auto mi sono guardato
intorno ma… niente. Ho fatto mente locale, allora, e mi sono ricordato della
data 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, che in quel comune si festeggia
ben due volte nell’anno: in questo giorno e poi nella Domenica in Albis (Sant’Antuonu
roppu Pasqua), si trattava solo di colpi scuri che aprivano i festeggiamenti del
Santo; è questo il segno di una devozione sentita e diffusa, che ben valica i
confini di Riardo.
Sant'Antonio Abate, da
non confondere con Sant'Antonio da Padova, è stato un monaco eremita vissuto in
Egitto nel IV secolo dopo Cristo. Isolandosi dal mondo cercava un rapporto più
diretto con Dio. Questa originale scelta di vita contribuì alla diffusione di
numerose leggende e devozioni popolari, come ad esempio quella che vuole S.
Antonio Abate capace di far ritrovare gli oggetti smarriti ("Sant'Antonio
di velluto, fammi ritrovare quello che ho perduto”).”). Ai bambini che
perdevano i denti di latte, dalle nostre parti, veniva fatta ripetere la
filastrocca: “Sant’Antuonu, Sant’Antuonu pigliete ju viecchiu e ramme ju nuovu”,
invocando così il santo a far ricrescere subito il dente definitivo
I suoi seguaci usavano
curare piaghe e ferite utilizzando il grasso di maiale. Per questo motivo, S.
Antonio Abate veniva invocato come taumaturgo e raffigurato in compagnia di un
maiale. La fama popolare lo innalzò a protettore degli animali domestici che
accompagnavano la vita dei contadini e degli allevatori.
E’ forse quest’ultimo
il motivo della diffusione del culto di S. Antonio Abate: la forte presenza
dell’agricoltura, attività economica assolutamente preponderante nella civiltà
rurale dei secoli passati, ha fatto di questo santo una quasi divinità a cui
rivolgersi per invocare grazie e favori.
In Campania, come si è
detto sopra, la devozione a S. Antonio Abate è molto radicata in alcuni
contesti rurali, in Terra di lavoro, in Irpinia, nel Salernitano dove si svolgono
riti secolari all’insegna del fuoco, della musica, della convivialità. I
significati simbolici sono evidenti: il fuoco rappresenta il calore della nuova
vita e la luce della speranza nei giorni più freddi ed oscuri dell’inverno; la
musica è rito collettivo che scaccia i demoni e i cattivi pensieri; la
convivialità del vino e dei prodotti genuini della terra sono un fiducioso
auspicio di prosperità. In particolare Macerata, comune dell’hinterland
casertano, ha sempre rinnovato il rito delle “pastallesse”, che di sicuro
deriva da culti precristiani, protagonisti ne sono i “bottari” che producono un
ritmo ossessivo ed assordante con martelli lignei su botti vuote e falci che
risuonano.
Anche nella nostra
Pietramelara non mancano segni esteriori del culto del Santo: la presenza di
pregevoli gruppi scultorei lignei sia in San Pasquale che in Sant’Agostino (cfr. foto di copertina), la
cappellina di Sant’Antonio Abate, sita a metà dell’omonima strada, tenuta in
costante lustro delle pie donne locali, ci confermano che un tempo la gente che
si recava in campagna passando per quel posto buttava lo sguardo verso la
cappellina e l’effige del santo ivi presente, recitando a mente una preghiera
che disponesse bene una dura giornata di lavoro. Si è ormai persa da decenni l’usanza
del "Puorcu r’ Sant’Antuonu", che vagava per le vie del borgo e veniva
alimentato e trattato come una sorta di animale sacro, dalla gente, che lo chiamava affettuosamente 'Ntonio .