La vicenda di Errico Leone (Pietramelara 11/07/1875- Napoli 19/06/1940), illustre concittadino protagonista di vicende politico/sindacali in un periodo storico di poco successivo all’Unità Nazionale, è stata commemorata ieri sera dalla nostra cittadinanza con una cerimonia semplice e densa di significati: scopertura di una targa nei pressi della casa natale, e un momento di comunicazione, nel corso del quale sono state enunciate le azioni che fino al prossimo anno onoreranno la memoria di un illustre cittadino, per troppo tempo tenuto nel dimenticatoio.
Da modesto conoscitore della storia locale, quella di tutti i giorni, rivissuta consultando documenti per lo più ignoti alla maggioranza della popolazione, e da esponente di un’Associazione, la Pro Loco, che deve tendere alla valorizzazione di ogni risorsa culturale del nostro territorio, posso dire che forse un aspetto non è stato sottolineato.
E’ stato detto che l’opera di sindacalista, economista e giornalista del Leone si è cominciata a sviluppare già a Pietramelara, prendendo coscienza delle ingiustizie sociali vissute dalle classi meno abbienti, il successivo trasferimento a Napoli, a Roma e poi a Bologna, ne avrà evidentemente permesso l’approfondimento con lo studio e il vissuto. E’ stato delineato il suo meridionalismo, connotato dalla delusione per il peggioramento delle condizioni dei contadini dopo l’unità, e il sostanziale fallimento politico del Risorgimento.
Non è stato detto, tuttavia, che già da secoli prima operava in Pietramelara un fermento e un’attenzione alla cultura tipico di realtà ben maggiori: basti pensare che nel settecento operavano in paese 4 notai, servendo un’area geografica probabilmente molto più vasta, alcuni “dottori fisici”, così si chiamavano i medici allora, avvocati e innumerevoli sacerdoti, canonici e chierici. Ciò, a parere di chi scrive, ha potuto costituire un humus culturale, un eccezionale terreno di coltura, dal quale hanno preso vita il formarsi la coscienza sociale in Errico Leone, ma anche lo sviluppo di moltissime altre eccellenze che si sono estrinsecate nell’esercizio di professioni e carriere:il punto di partenza del Leone ha inciso in modo fortissimo le sue successive vicende. Non è qui il caso di elencare nomi, tuttavia ritengo che, al di la del campanilismo, il Leone, quanto tanti altri validissimi uomini di scienza e cultura, abbiano contribuito rendere il nostro paese noto anche a chilometri di distanza, in tempi in cui la velocità di diffusione delle notizie e delle informazioni era molto più lenta di oggi.
Scribacchiando per me
sabato 25 maggio 2019
martedì 7 maggio 2019
UNA PROVINCIA FRA STORIA E FUTURO
L’ampio dibattito sviluppatosi recentemente a proposito di un ritorno delle provincie all’ordinamento giuridico precedente alla riforma, costituisce l’ennesimo punto di discordia all’interno del governo nazionale.
Malgrado una certa semplificazione giornalistica, la riforma delle province convertita in legge nell’aprile del 2014 dalla Camera non ha previsto un’abolizione totale delle province, ma una sostituzione con nuovi enti. Per l’abolizione totale di esse sarebbe stata necessaria una modifica della Costituzione.
Ciò tuttavia induce una serie di considerazioni di natura storica ed antropologica sulla nostra provincia e sul suo futuro.
Terra di Lavoro è stata una provincia del Regno delle Due Sicilie e del Regno d'Italia. È chiamata spesso anche con la dicitura di Provincia di Caserta, in virtù del fatto che nel 1818, per volere di Francesco I di Borbone, il capoluogo fu spostato da Capua a Caserta.
All'indomani dell'unità d'Italia la provincia di Terra di Lavoro era una delle più vaste d'Italia, comprendeva l'intero territorio dell'attuale provincia di Caserta, la parte meridionale dell'attuale provincia di Latina , parte dell'attuale provincia di Frosinone, tutta la parte dell'agro nolano ricompresa nell'attuale città metropolitana di Napoli e ancora una parte delle attuali province di Benevento, Avellino e Isernia. Facevano parte della provincia, inoltre, le isole di Ponza e Ventotene . Articolata in circondari e mandamenti, a quell’epoca il nostro comune, come testimonia ancora una lapide in Piazza San Rocco, era capoluogo del “mandamento IX di Pietramelara”, facente parte del Circondario di Caserta .
Nel 1927, durante il ventennio fascista, la Terra di Lavoro fu soppressa definitivamente: la decisione del governo fu accolta con incredulità e scontento da parte della popolazione e dai vari ras locali, per un'unità amministrativa storica, che all'epoca era la più estesa del regno (192 Comuni, 5.258 km² di territorio e una popolazione di 868.000 abitanti). Il Duce con un telegramma al prefetto di Caserta, motivò che tale scelta era dettata dalla precisa volontà di dare a Napoli il necessario respiro territoriale.
All'atto della soppressione della provincia di Terra di Lavoro, i suoi comuni furono divisi tra le province di Napoli, Benevento, Roma , e la neonata provincia di Frosinone.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, con decreto legislativo luogotenenziale del novembre 1945, venne di nuovo istituita la provincia di Caserta, secondo l'attuale configurazione, che comprende circa la metà dell'originaria provincia di Terra di Lavoro.
Le popolazioni abitanti la nostra provincia sono estremamente disomogenee fra loro, se ne possono, infatti, delineare almeno tre: quella dell’Agro Aversano, nella parte più meridionale, attigua a Napoli, simile ad essa nella lingua e nel carattere, quella della conurbazione casertana, intermedia, e quella della parte più settentrionale, l’alto casertano, di origine sannitica.
Verso la fine dello scorso millennio Togo Bozzi, saggista e giornalista di Cervinara, si pose a capo di un apposito comitato, con l’obiettivo dichiarato di dare finalmente vita alla provincia immaginata nel 1860, che avrebbe dovuto includere Benevento più la Valle Caudina e la Valle Alifana. Si andava a formare una nuova provincia, il Molisannio, che in base ad affinità storiche, economiche e culturali, avrebbe dovuto accorpare le suddette aree interne della Campania e parte del Molise, secondo i confini dell’antico Sannio. Ipotesi affascinante, sicuro, ma priva di effetti pratici in tempi in cui si va verso una globalizzazione sempre più spinta e radicale.
Malgrado una certa semplificazione giornalistica, la riforma delle province convertita in legge nell’aprile del 2014 dalla Camera non ha previsto un’abolizione totale delle province, ma una sostituzione con nuovi enti. Per l’abolizione totale di esse sarebbe stata necessaria una modifica della Costituzione.
Ciò tuttavia induce una serie di considerazioni di natura storica ed antropologica sulla nostra provincia e sul suo futuro.
Terra di Lavoro è stata una provincia del Regno delle Due Sicilie e del Regno d'Italia. È chiamata spesso anche con la dicitura di Provincia di Caserta, in virtù del fatto che nel 1818, per volere di Francesco I di Borbone, il capoluogo fu spostato da Capua a Caserta.
All'indomani dell'unità d'Italia la provincia di Terra di Lavoro era una delle più vaste d'Italia, comprendeva l'intero territorio dell'attuale provincia di Caserta, la parte meridionale dell'attuale provincia di Latina , parte dell'attuale provincia di Frosinone, tutta la parte dell'agro nolano ricompresa nell'attuale città metropolitana di Napoli e ancora una parte delle attuali province di Benevento, Avellino e Isernia. Facevano parte della provincia, inoltre, le isole di Ponza e Ventotene . Articolata in circondari e mandamenti, a quell’epoca il nostro comune, come testimonia ancora una lapide in Piazza San Rocco, era capoluogo del “mandamento IX di Pietramelara”, facente parte del Circondario di Caserta .
Nel 1927, durante il ventennio fascista, la Terra di Lavoro fu soppressa definitivamente: la decisione del governo fu accolta con incredulità e scontento da parte della popolazione e dai vari ras locali, per un'unità amministrativa storica, che all'epoca era la più estesa del regno (192 Comuni, 5.258 km² di territorio e una popolazione di 868.000 abitanti). Il Duce con un telegramma al prefetto di Caserta, motivò che tale scelta era dettata dalla precisa volontà di dare a Napoli il necessario respiro territoriale.
All'atto della soppressione della provincia di Terra di Lavoro, i suoi comuni furono divisi tra le province di Napoli, Benevento, Roma , e la neonata provincia di Frosinone.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, con decreto legislativo luogotenenziale del novembre 1945, venne di nuovo istituita la provincia di Caserta, secondo l'attuale configurazione, che comprende circa la metà dell'originaria provincia di Terra di Lavoro.
Le popolazioni abitanti la nostra provincia sono estremamente disomogenee fra loro, se ne possono, infatti, delineare almeno tre: quella dell’Agro Aversano, nella parte più meridionale, attigua a Napoli, simile ad essa nella lingua e nel carattere, quella della conurbazione casertana, intermedia, e quella della parte più settentrionale, l’alto casertano, di origine sannitica.
Verso la fine dello scorso millennio Togo Bozzi, saggista e giornalista di Cervinara, si pose a capo di un apposito comitato, con l’obiettivo dichiarato di dare finalmente vita alla provincia immaginata nel 1860, che avrebbe dovuto includere Benevento più la Valle Caudina e la Valle Alifana. Si andava a formare una nuova provincia, il Molisannio, che in base ad affinità storiche, economiche e culturali, avrebbe dovuto accorpare le suddette aree interne della Campania e parte del Molise, secondo i confini dell’antico Sannio. Ipotesi affascinante, sicuro, ma priva di effetti pratici in tempi in cui si va verso una globalizzazione sempre più spinta e radicale.
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