La moviola, quella della vita, non finisce mai di girare, si accende e si spegne da sola; ed ogni volta che si inceppa vai a dipanare il nastro ed ecco: ti si ripresenta qualcosa che ti è stato noto e familiare, che ha indotto in te emozioni oppure dolore, gioia o ancora ilarità, ma che per tanto tempo è stato seppellito nelle “stanze buie della memoria”. Presti un attimo di attenzione e le immagini cominciano a susseguirsi sullo schermo.
… come quelle delle feste che si usavano fare quando uno di noi acquisiva il “pezzo di carta”, il diploma di scuola media superiore. Oggi non si usano più, sono state soppiantate dalle feste dei 18 anni: queste differiscono da quelle perché, come al solito, ciò che è legato al passato veniva condotto con un carattere di maggiore “artigianalità” rispetto ad oggi. Discoteche, ristoranti riservati allo scopo per una serata: niente di tutto ciò; le feste di diploma si tenevano rigorosamente in casa propria e, ove questa non lo permetteva, in casa di amici o vicini oppure, al limite, utilizzando un garage previamente sgombrato e ripulito.
Il boufett: quello si che era sempre all’altezza, anche se connotato anch’esso fortemente dalla ruralità dell’evento, vi si trovava ogni ben di Dio, panini al prosciutto, pizze di ogni tipo, taralli ed altre leccornie “di casa”, il tutto accompagnato dai generosi vini rossi di Monticello o del Montemaggiore, niente superalcolici, al massimo qualche Peroni. Si ballava, e molto, per ore intere al suono di uno stereo di pochissime decine di watt: Beatles, Santana, Aznavour, Barry White ma… ad un certo punto della serata la musica taceva, ed era allora che iniziava il divertimento!... andava di scena il “papiello”. Una tradizione nella tradizione, questa, mutuata dalla goliardia universitaria, una sorta di processo in latino “maccheronico” che un’improbabile corte, chiamata “commissione”, celebrava; il papiello, ovvero al sentenza, veniva letto dal presidente, in genere uno studente universitario prossimo alla trentina, abbondantemente “fuori corso”, che nel corso della lettura infliggeva supplizi di vario genere al festeggiato, reo di aver chiesto (con impudenza e temerarietà) di entrare a far parte dei “goliardi”. Il poveretto una volta era costretto a bere un intruglio scuro e torbido da un orinale (non è stato mai dato di sapere se nuovo o già usato), un’altra a baciare i piedi di qualche componente la commissione, che si vantava di non averli lavati da tempo immemore, e via dicendo. Il tutto si concludeva in genere benignamente, la corte si dimostrava clemente, apprezzando soprattutto il bouffet, e si pronunciava favorevole all’ammissione del festeggiato tra i goliardi. A volte la cosa, per il dettaglio dell’organizzazione, assumeva i connotati di una vera e propria rappresentazione con tanto di costumi, serti di alloro sulla testa del presidente e litanie blasfeme ripetute a più riprese; pensate che si giunse, nel periodo aureo, ad organizzare un vero e proprio corteo che si dirigeva verso la casa in cui si teneva la festa. Il papiello era un po’ il clou della serata che, dopo di esso, continuava ancora con la musica ed i balli.
Come nella foto a corredo, il papiello veniva redatto su di un rotolo di carta a mò di pergamena e firmato dalla commissione; conservo ancora il mio papiello, datato 1 ottobre 1977: reca firme di persone ormai più che adulte e di qualcuno che ci ha lasciato, è un ricordo carissimo, un cimelio da cui non mi separerò.