A volte penso a me stesso come un marinaio, un navigante costretto a solcare mari insidiosi. Onde alte e possenti si scaricano sul fragile vascello che conduco e sono in grado di farmi deviare dalla rotta! Come ogni buon marinaio, tuttavia, so bene che, per non perdere la rotta, per condurre la nave in un porto sicuro, si devono guardare le stelle, si devono avere dei punti di riferimento fissi, precisi ed inequivocabili.
Con il timone ben stretto tra le mani, alzo lo sguardo e vedo le due stelle che mi guidano, splendono fortemente nello specchio di cielo che si riflette nel mio mare; sono molto diverse fra loro: la prima è un puntino lontano ma luminosissimo, splende di una luce bianca ed un po’ algida, i suoi raggi disegnano geometrie nette e precise. La seconda, invece, appare più grande e vicina, emana una luce molto più calda e rassicurante. Il loro allineamento, la loro posizione nella volta celeste mi sono noti a memoria, le individuo appena alzo gli occhi. E’ per loro che riesco ancora ad orientarmi, anche tra mille difficoltà e problemi, anche quando sembra che ogni riferimento sia stato annullato, che ogni cardine sia stato divelto; grazie a loro sono uscito indenne dalle tempeste violente che mi hanno coinvolto: sono, semplicemente, l’alfa e l’omega di ogni mia azione.
Fare a meno dell’una come dell’altra sarebbe impossibile, un vero atto contro natura: mi perderei di sicuro, ed un mare cupo ed oscuro sarebbe pronto ad inghiottirmi.
Scribacchiando per me
sabato 24 novembre 2012
giovedì 8 novembre 2012
In quella bottiglia d'olio
Ho portato con me in ufficio una bottiglia d’olio appena prodotto: simbolico omaggio ai miei colleghi, estemporaneo condimento di bruschette e zuppa di fagioli, così…tanto per ripercorrere un uso ormai quasi consolidatosi in tradizione.
Mentre ci si preparava all’estemporanea colazione, in pausa mensa, guardavo in trasparenza quell’olio grezzo ed opaco, ancora tutt'altro che limpido, e consideravo cosa potesse contenere quella bottiglia.
Lontanissimo dal pensare ad acidi grassi monoinsaturi e a quelli polinsaturi, ai polifenoli nelle mille varianti, ai pigmenti naturali ed alle vitamine, ho letto, in primo luogo, trasparire da quella bottiglia i sacrifici ed il sudore di mio nonno, tanti anni fa in America, per mettere da parte il gruzzolo che gli avesse permesso di acquistare il fondo “Spitalera” in agro del comune di Roccaromana; terra generosa, dal suolo sciolto e fresco, di natura vulcanica, in grado di produrre ogni cosa le fosse stato richiesto: grano, granturco, fagioli, ortaggi, foraggio ed infine, dopo vari decenni, olive da olio, una volta ereditata da mia madre.
Era netta, poi, guardando in controluce, l’immagine della passione mia per la terra e le attività ad essa connesse; passione che mi permette di trascorrere ore ed ore del mio tempo libero in campagna, dimentico di tutto e di tutti, a zappare, vangare, potare, trattare ed, infine, a raccogliere i frutti di un intero anno di lavoro.
Era distinguibile, inoltre, in modo netto l’impegno e la fatica di Giovanni, sessantenne raccoglitore di olive, tutto nervi e muscoli, una vera scimmia, capace anche di raggiungere a vari metri di altezza sparuti gruppetti di drupe, mezza Marlboro fra le labbra, in equilibrio sicuro anche su fuscelli sottilissimi, favorito dal fisco esile e minuto e da un’agilità non comune, soprattutto data l’età.
Infine, quella bottiglia conteneva, e ne sono certo, la sapienza e le tradizioni di generazioni di contadini, gente della terra, che si sono dedicati all’olivo, autentico dono del Creato, sperimentando e diffondendo varietà, tecniche di produzione e quant’altro avesse potuto condurre a quel liquido dorato e prezioso, dal profumo inebriante.
Mentre ci si preparava all’estemporanea colazione, in pausa mensa, guardavo in trasparenza quell’olio grezzo ed opaco, ancora tutt'altro che limpido, e consideravo cosa potesse contenere quella bottiglia.
Lontanissimo dal pensare ad acidi grassi monoinsaturi e a quelli polinsaturi, ai polifenoli nelle mille varianti, ai pigmenti naturali ed alle vitamine, ho letto, in primo luogo, trasparire da quella bottiglia i sacrifici ed il sudore di mio nonno, tanti anni fa in America, per mettere da parte il gruzzolo che gli avesse permesso di acquistare il fondo “Spitalera” in agro del comune di Roccaromana; terra generosa, dal suolo sciolto e fresco, di natura vulcanica, in grado di produrre ogni cosa le fosse stato richiesto: grano, granturco, fagioli, ortaggi, foraggio ed infine, dopo vari decenni, olive da olio, una volta ereditata da mia madre.
Era netta, poi, guardando in controluce, l’immagine della passione mia per la terra e le attività ad essa connesse; passione che mi permette di trascorrere ore ed ore del mio tempo libero in campagna, dimentico di tutto e di tutti, a zappare, vangare, potare, trattare ed, infine, a raccogliere i frutti di un intero anno di lavoro.
Era distinguibile, inoltre, in modo netto l’impegno e la fatica di Giovanni, sessantenne raccoglitore di olive, tutto nervi e muscoli, una vera scimmia, capace anche di raggiungere a vari metri di altezza sparuti gruppetti di drupe, mezza Marlboro fra le labbra, in equilibrio sicuro anche su fuscelli sottilissimi, favorito dal fisco esile e minuto e da un’agilità non comune, soprattutto data l’età.
Infine, quella bottiglia conteneva, e ne sono certo, la sapienza e le tradizioni di generazioni di contadini, gente della terra, che si sono dedicati all’olivo, autentico dono del Creato, sperimentando e diffondendo varietà, tecniche di produzione e quant’altro avesse potuto condurre a quel liquido dorato e prezioso, dal profumo inebriante.
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